Trigger Warning: “VIA COL VENTO”

Ho sentito per la prima volta la necessità di leggere le oltre mille pagine di “Via col Vento” quando, forse tredicenne, ho divorato uno dei libri più belli della mia infanzia: “The Outsiders“, di S. Hinton (“Ribelli” nell’edizione Piemme, “I ragazzi della 56a strada” nell’edizione di chi ama complicare la vita alla gente), in cui, fuggitivi e costretti a nascondersi in un edificio abbandonato, Ponyboy Curtis e Johnny Cade leggono ad alta voce il romanzo di Margaret Mitchell, per passare il tempo e dimenticare, se possibile, l’orrore di un omicidio accidentale.

Ce ne ho messo di tempo per decidermi effettivamente a leggerlo, nonostante l’impulso onnipresente e mai sopito, e nonostante una visione precoce (e probabilmente poco consapevole) del film durante la prima adolescenza.

Ma, per iniziare questo post con un bel cliché, meglio tardi che mai.

Gone with the Wind“, pubblicato per la prima volta nel 1936, è ambientato in Georgia tra il 1861 e il 1873 e racconta dei difficili anni della guerra di Secessione dal punto di vista dei vinti, i Sudisti Confederati.

E, nello specifico, di una giovane bellissima, ricca e viziata, erede di una rigogliosa piantagione (e dunque proprietaria di schiavi) di nome Scarlett O’Hara.

Antieroi

Una donna tremenda, Scarlett. Per me, l’antieroina per eccellenza.

Testarda, capricciosa, egoista ed avida (e non sto esagerando), con un senso pratico che fagocita costantemente la sua morale, alimentato dal rassicurante ritornello del “Non posso pensarci adesso, ci penserò domani, quando potrò sopportarlo”, provvidenziale nel farle superare qualunque momento di difficoltà, ma anche, e forse soprattutto, nel diluire il costante senso di colpa generato dalle sue scelte, come dire, controverse.

Ottusa, per certi versi, incapace di comprendere a fondo a tutto ciò che non si allinea ai suoi desideri e alla sua praticità, dai nobili principi del suo amato Ashley alla fiera dedizione delle donne e degli uomini del sud verso la grande Causa che li porterà in guerra.

Vivien Leigh nei panni di Scarlett O’Hara

Le ho perdonato molte cattiverie, ammetto, perché affascinata da questa donna così indipendente e risoluta, una roccia nelle avversità, moderna nella sua intraprendenza, nel suo rifiuto di convenzioni sociali che le stanno strette e nel suo senso per gli affari fuori dal comune, ma con una tendenza fatalmente autodistruttiva nelle relazioni.

Se, infatti, il carattere d’acciaio di Scarlett le consente di rialzarsi dopo aver toccato il fondo e di costruire per sé una vita agiata, finisce per sabotarla dal punto di vista umano, sentimentale e delle amicizie, rovinando tutto ciò che di buono la vita le offre, compreso il suo rapporto con Rhett.

Il Capitano Rhett Butler svolge, nella vicenda, quasi il ruolo di un comprimario, una presenza quasi costante al fianco di Scarlett.

A mio parere, il personaggio più affascinante – se non il migliore – del romanzo (complice un’inevitabile tendenza a figurarmelo con le fattezze di Clark Gable).

Clark Gable nei panni di Rhett Butler

Rhett è la figura più schietta di “Via col Vento“, una “voce della verità” a tutti gli effetti, che obbliga tutti i personaggi con cui interagisce a confrontarsi, loro malgrado, con affermazioni a dir poco scomode, decisamente mai sollecitate e costantemente accompagnate da un subdolo tono di scherno.

Scarlett è la prima vittima delle parole beffarde e insinuanti di questo carattere a lei così affine, ma dotato di una consapevolezza e di un senso critico che a lei mancano, o, meglio, che Scarlett tenta sempre di soffocare, alimentandosi di illusioni che le rendono la vita più sopportabile.

I dialoghi fra i due sono probabilmente l’elemento più appassionante che troverete nel libro: oscillano fra il seducente e il sarcastico, in un climax che, sul finale, li rende struggenti, per l’intensità di sentimento e brutalità che trasudano.

Idioletto e Onniscienza

Ed è proprio nei dialoghi che Mitchell fa sfoggio della sua abilità narrativa, cimentandosi nella resa di registri estremamente variegati: il linguaggio di ogni personaggio si distingue chiaramente dagli altri, in base alla provenienza regionale o sociale, ma anche all’educazione e, nondimeno, al suo carattere.

Quest’attenzione per l’idioletto aumenta esponenzialmente l’autenticità alla narrazione ed insieme ad alcuni elementi ricorrenti nelle descrizioni (il costante riferimento, ad esempio, all’espressività degli occhi), rende le voci dei personaggi ben distinguibili, nonché più umane e reali, al punto da eclissare il narratore onniscente.

Tuttava, questo non vuol dire che Mitchell sparisca del tutto.

Spesso e volentieri la sua presenza è tangibile alle spalle dei protagonisti, come sono percepibili le sue simpatie e antipatie, così come la sua posizione, in generale, nei confronti della materia narrata.

Una posizione, ammetto, che mi è sembrata più volte contraddittoria, soprattutto riguardo le ambizioni dei sudisti durante la guerra e nel corso della Ricostruzione, ovvero, dopo la sconfitta della Georgia e la sua occupazione da parte degli Yankee repubblicani.

A momenti sembra compatire i confederati, quasi canzonare la loro ingenuità e mancanza di lungimiranza nel lanciarsi a capofitto in una guerra persa in partenza (spesso, proprio tramite le parole di Butler); altre volte, invece, tiene a sottolinearne il coraggio e la dignità nella sconfitta, condividendone l’onore ferito e il desiderio di rivalsa.

Ed è sulla scia dell’orgoglio vendicato, immagino, che Mitchell decide, ad un certo punto, di deliziare il lettore con una sfacciata apologia del Ku Klux Klan.

Razzismo e contesto

Prima di addentrarmi in questo ambito, però, è necessario che mi soffermi su un concetto fondamentale.

La retorica palesemente razzista dell’autrice si può sopportare, a patto che resti costante la capacità di contestualizzare la storia: scritta da una donna della Georgia negli anni Trenta e ambientata tra il 1861 e il 1873 (poco prima della nascita delle leggi Jim Crow, che inaugurarono un lungo periodo di segregazione razziale), durante e dopo la Guerra di Secessione e raccontata dal punto di vista degli slaveowners.

Ergo, si tratta di un libro razzista, scritto da una donna razzista e i cui personaggi sono razzisti.

Un ritornello che va ripetuto molto spesso – soprattutto nella seconda parte del romanzo – per evitare di annegare nel disgusto e nell’indignazione, e mantenere una comprensione lucida del contesto in cui la vicenda si svolge (lo stesso contesto, puntualizzo, in cui è reputato normale che una ragazzina di sedici anni venga corteggiata da un uomo che ne ha diciassette più di lei).

La prima metà di “Via col Vento” è decisamente più semplice da affrontare, in quanto della schiavitù non si parla MAI, e le vicende personali di Scarlett occupano gran parte dello spazio narrativo.

Certo, il linguaggio utilizzato è zeppo di espressioni che ho trovato come minimo disturbanti e di termini di matrice razzista desueti e inizialmente difficili da tradurre (l’ho letto in lingua originale e non vorrei mai trovarmi nei panni di chi ha dovuto tradurlo), perché legati prettamente all’ambiente delle piantagioni.

Ma è la seconda metà che presenta gli ostacoli maggiori per chi legge: nell’Atlanta ricostruita dopo essere stata rasa al suolo dagli Yankee, le ricche famiglie di un tempo sono ridotte in miseria, gli ex confederati hanno perso il diritto di voto, mentre gli schiavi liberati lo hanno appena acquisito.

Non ci vuole molto prima che l’ostilità dei sudisti nei confronti degli Yankee abbia delle gravi ripercussioni sui i nuovi cittadini neri, paurosamente ebbri di una libertà improvvisa e, ai loro occhi, immeritata.

Così, i nostalgici confederati cercano uno sfogo che lenisca l’umiliazione della sconfitta, un mezzo con cui riappropriarsi dell’antico potere politico e sociale e che si concretizza, appunto, nella nascita del Ku Klux Klan.

Un qualcosa, in altre parole, che permetta loro sia di aggirare la legge marziale cui sono sottoposti, sia di rimettere al proprio posto quei neri arroganti che minacciano le brave donne del Sud.

M.M. con una copia del suo “Via col Vento” – Trafiletto di un quotidiano che ne annuncia la morte in seguito ad un incidente.

Se, inizialmente, sembra che Mitchell faccia riferimento alla nascita del Klan da un punto di vista prettamente storico, ossia per “dovere di cronaca”, presto il suo tono cambia.

Si fa complice, accondiscendente nel narrare il diretto coinvolgimento di alcuni personaggi nelle scorrerie del Klan. Personaggi, per di più, che nel romanzo svolgono un ruolo positivo, molto più positivo, per esempio, di quello della protagonista.

Una scelta non solo fortemente destabilizzante (e non necessaria, peraltro, perché un tono simile a quello del capitolo in questione non si ripete più avanti, e la vicenda prosegue quasi come se nulla fosse accaduto), ma che sembra addirittura cozzare con i caratteri fin lì descritti, snaturandoli violentemente.

E questa è solo una delle contraddizioni onnipresenti nel romanzo, forse l’unica che mi abbia fisicamente nauseato.

Ma che, pensandoci qualche minuto in più, è pur sempre coerente con il famoso ritornello del contesto in cui il libro è stato scritto e ambientato e che fa sì che l’idea della dolce e buona Melanie che difende e nasconde l’operato del Klan non costituisca un’idea poi così assurda.

Un altro esempio è quello del rapporto incoerente fra i gentiluomini e le gentildonne del sud verso i personaggi neri (come uncle Peter), che va di pari passo al paradossale terrore che gli yankee provano nei confronti di coloro che hanno appena liberato dalla schiavitù.

Tuttavia, in questo come in altri casi, il paradosso narrato ha un fondamento storico e sociale e, sebbene possa essere difficile da comprendere, conferisce realismo alla materia narrata e non comporta necessariamente delle incongruenze nel comportamento dei protagonisti.

Come Scarlett e Rhett, ad esempio, il cui carattere resta consistente assolutamente fino alla fine.

Resta comunque sorprendente come un romanzo così razzista possa costituire al contempo una storia per molti aspetti femminista: la protagonista rompe più volte gli schemi che ingabbiano la sua categoria (di donna, moglie, madre, vedova) e, se vi appassiona il tema della rappresentazione femminile, sappiate anche che “Via Col Vento” supera il Test di Bechdel a pienissimi voti.

Per tutti questi motivi e paradossi, è necessario affrontare il romanzo con una consapevolezza molto forte, che serve sia a non cadere nel tranello di un’indecente romanticizzazione dello schiavismo, sia ad apprezzare al meglio questa lettura nonostante i suoi evidenti limiti.

Perché, questo non l’ho ancora detto, “Via col Vento” è un romanzo appassionante come pochi.

Strapparsi il cuore

Ho già fatto riferimento alla caratterizzazione eccelsa dei personaggi, così come all’uso unico del linguaggio e alla capacità dell’autrice di eclissarsi (o palesarsi) a seconda del momento narrativo.

Sin dai primi paragrafi di questo (lungo, mi rendo conto) post, inoltre, si intuiscono le mie preferenze riguardo questo o quel personaggio.

Ma mai come in questo caso posso dire che non importa quali siano i miei sentimenti nei confronti dei singoli protagonisti, le loro vicende mi hanno sempre coinvolto fino a togliermi il fiato (considerando sempre che conoscevo già la storia prima di leggere il libro). Anche se ho sognato di schiaffeggiare Scarlett in molteplici occasioni, anche se ho desiderato la morte all’ennesimo dialogo sognante con quel buono a nulla di Ashley, anche se ho roteato gli occhi fino alla nausea ad ogni parola gentile di Melly.

Perché i personaggi, oltre che ad essere scritti bene, interagiscono tra loro nel modo giusto, il più realistico possibile.

Compiono errori, litigano, si ingannano a vicenda e amano ognuno in modo diverso dall’altro.

Lo so, questo libro presenta almeno una decina di bandierine rosse e il suo stesso titolo necessita di un trigger warning per via di tutto ciò che ha implicato negli anni e che implica tutt’ora.

Ma sarei un’ipocrita se dicessi che non mi ha fatto provare nessuna emozione.

La verità, nonostante tutto, è che non mi riprenderò MAI dall’ultimo dialogo fra Scarlett e Rhett e che più volte, mentre leggevo, ho desiderato strapparmi il cuore e seppellirlo abbastanza in profondità e abbastanza lontano da smettere di soffrire.

Posso dirvi solo che questo libro mi ha prosciugato le energie, nel bene e nel male, e che se avete anche solo un accenno di romanticismo in voi, purtroppo non potrà non toccarvi. (Ma, tranquill@, il sentimentalismo che gronda dalla penna di Mitchell non annega mai del tutto l’accuratezza storica e la concretezza del suo stile).

L’obiettivo di questo post non è quello di consigliarvi Via col Vento“, perché si tratta di una lettura innegabilmente problematica.

Piuttosto, il mio intento è quello di farvi capire cosa aspettarvi, nel caso decideste di immergervi in una storia per la quale proverò sempre sentimenti molto contrastanti, ma che, volente o no, non riuscirò mai a dimenticare.

Informazioni su Silvia Guarino

Datemi un libro affascinante, un film commovente, una canzone dal testo imperscrutabile e li spolperò fino all'osso, tirando fuori significati nascosti e, può darsi, improbabili. Datemi un pensiero insulso, un'esperienza di vita quotidiana e costruirò una cattedrale di parole per raccontarveli, anche se sembra che non ci sia nulla da dire. Chissà, alla fine io e voi potremmo riuscire a capirci qualcosa di questo mondo.

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